A Piazza Merolli il Centro di Aggregazione Giovanile per l’inquieta Generazione Z

di Elena Monteverde

Nascerà a breve il primo Centro di aggregazione giovanile di Monteverde. Uno spazio in cui convogliare la creatività dei giovani del territorio e dare risposta al crescente disagio della “generazione Z”. Un tema al centro del cortometraggio “Io e Ciocci” del ventenne regista monteverdino Cesare De Simone la cui presentazione è stata occasione per fare il punto sul progetto – con un pubblico di diverse età – insieme all’assessore alle politiche giovanili Maria Stella Squillace la quale ha confermato che il Municipio è al lavoro per valorizzare altri spazi pubblici: dalla ex capellina di via Vitellia lungo le mura di Villa Pamphili alla Casetta garibaldina per la quale si punta all’inaugurazione nel 2025.

Della generazione Z, i ventenni di oggi, si dicono molte cose: che sia confusa, fragile, disinteressata, autodistruttiva, narcisista (ma col fiato corto di un selfie), impaurita ed in sostanza ripiegata su se stessa (e sul telefono cellulare/consolle). Giudizi che peraltro provengono dalla generazione dei genitori i quali dimenticano che loro, da ventenni, non erano subissati da cronache belliche, stravolgimenti climatici e sanitari, social litigiosi, il tutto elevato a dimensione globalizzata. E che crescevano inseguendo i loro sogni tra il muretto e l’oratorio, sapevano che telefonare fuori casa dipendeva solo da quanti gettoni si avevano in tasca (e dal trovare un apparecchio pubblico) e vivevano amicizie, amori ed ormoni senza ansie da like, chat ridondanti emoticon, illusori follower e video espliciti a portata di click.

Ha fatto felice eccezione il gruppo di adulti (donne per la maggioranza), intellettuali ed insegnanti, che ha animato il dibattito al Teatro dei Contrari di viale dei Quattro Venti 78 in occasione della proiezione del cortometraggio “Io e Ciocci” di Cesare De Simone, 23enne monteverdino, ex studente del liceo Manara, che ripercorre il vissuto di un ventenne in faticosa ricerca della sua identità, emblema dei suoi coetanei alle prese con una “società che non ci aiuta” come la definisce il protagonista del cortometraggio. Dieci minuti in cui il giovanissimo autore ha saputo incastrare registri che vanno dal tragicomico all’intimista oltre a tecniche video ed interpretative diverse, alternando claustrofobia e leggerezza, linguaggio volgare e candore. “Ho voluto raccontare il senso di smarrimento e la crisi di senso di chi, come me, sta cercando il suo posto nella vita, si ritrova ad un bivio o forse ancor meglio quel bivio neanche riesce a trovarlo. E questo paradossalmente proprio in una società che ci dicono abbondante di possibilità, bulimica di esperienze ma che, nei fatti, sentiamo sempre più vuota e solitaria. Non è assolutamente vero quello che si dice di noi ragazzi, che saremmo senza idee ed energie. Il problema è che tanti non sanno come concretizzarle, sono spaventati, disorientati, depressi. Certamente spazi in cui potersi fisicamente incontrare e liberamente esprimersi, possono fare molto per scardinare quel blocco che racconto nel mio cortometraggio” ha esordito Cesare De Simone, anche autore ed interprete del suo film accogliendo sul palco gli ospiti, superando un certo imbarazzo: lo stesso dei giovani tra il pubblico che non si aspettavano una presenza così forte di adulti e ancor più quando, in tanti, hanno paragonato il suo problematico Ciocci al Michele Apicella di un monteverdino ben più famoso, Nanni Moretti. “Io sono un autartico? Un paragone che mi onora…” arrossisce.

Punto focale della conversazione il progetto del centro di aggregazione giovanile che sorgerà a Piazza Merolli, in zona Colli Portuensi dopo che il Municipio XII ha vinto un bando da 100mila euro e che si affiancherà ad un’altra realtà analoga in via Longhena 84, alla Pisana (con fondi per 500mila euro e bando a breve, ndr). Presenti Graziella Viviano, le scrittrici Giada Carboni e Patrizia Pieri, la fondatrice di Felix Film Laura Pettini, gli attori Giusi Cataldo e Francesco Nannarelli, anche regista e direttore artistico del Teatro dei Contrari, le insegnanti Isabella Cognatti (anche consigliere comunale), Alessandra Loriga e Barbara Salsetta e soprattutto le protagoniste del progetto: la fondatrice del comitato civico che ha richiesto a gran voce al municipio la creazione del Cag, Marta Paloscia, logopedista della Asl e l’assessore alle politiche giovanili e scolastiche del municipio, Maria Stella Squillace (Lista Civica) che (anche madre di figli adolescenti) ha raccolto prontamente questa richiesta e colto l’occasione di questo incontro per fare il punto sul progetto che colma la totale assenza di spazi fisici pubblici nel quadrante di Monteverde Nuovo, quanto mai necessari per una generazione che comunica sempre più in modo virtuale: “Uno spazio che possa accogliere una sala prove per fare musica, mettere in scena spettacoli teatrali, musical, concerti – ha detto –. Magari anche con un festival dedicato ai giovani del territorio. Uno spazio in cui proiettare film come questo di Cesare De Simone che mi ha fatto riflettere sul fatto che il senso di smarrimento che coglie i giovani sulla strada da intraprendere nella vita (peraltro oggi anticipato già tra gli adolescenti) non è altro che una richiesta di attenzione a cui noi adulti e questa società frenetica, dominata da modelli imposti, non danno la dovuta attenzione, aumentando così il senso di solitudine dei ragazzi, l’aumento dei casi di autolesionismo… E’ l’ascolto evocato quando il personaggio del cortometraggio, Ciocci, immagina che da adulti si smetta di ascoltare e gli occhi vadano a sostituire le orecchie. Noi adulti abbiamo quindi la responsabilità di fare delle scelte per fare in modo che la speranza che Ciocci vive solo ad occhi chiusi, diventi invece concreta. E le istituzioni intervenire, perché ogni ragazzo che si perde a livello scolastico e personale è una sconfitta”. E rivolgendosi ai giovani presenti ha aggiunto: “Nel percorso del Cag ci dovete aiutare: fate le vostre proposte, aiutateci a convogliare le giuste risorse in questo progetto che ha un iter complesso sia burocratico che gestionale perché prevede attività per fasce d’età molto diverse, dai 6 ai 16 anni e pensiamo anche oltre alla presenza di operatori certificati. Inoltre stiamo cercando di trovare anche altri spazi, dalla ex cappellina di via Vitellia lungo le mura di Villa Pamphili a progetti con le scuole tramite i patti educativi di comunità. La casetta garibaldina? Pensiamo ad un’aula studio come anche al suo utilizzo da parte delle associazioni del territorio che da tempo chiedono un luogo di incontro. Ma intanto ora è importante riaprire l’edificio dopo l’iter bloccato da tante problematiche seguite al suo esproprio. Finiti i lavori di ristrutturazione nel 2016 si è infatti dovuto agire sul cambio di destinazione per l’utilizzo socioculturale e sull’acquisizione come pertinenza dell’area esterna adibita a parcheggio. La proprietà di recente è entrata nella completa disponibilità del nostro municipio e l’obiettivo è quello di iniziare i lavori quest’anno, installando anche un ascensore esterno, per arrivare all’inaugurazione nel 2025”.

“Il Cag è uno spazio fisico necessario per aiutare i ragazzi a sentirsi parte di un gruppo e gestire meglio le insicurezze che iniziano già dalla scuola media, a rispondere alle domande delle nuove generazioni che ben esprime questo cortometraggio. La confusione, il senso di instabilità ma anche la speranza cui dobbiamo dare risposte” esordisce nel suo intervento Marta Paloscia che è riuscita a coalizzare un comitato civico, con una serie di tavoli di incontro nel piazzale della stazione dei Quattro Venti raccolti tramite appelli sul gruppo facebook Monteverde Vera, che ha fatto pressione per l’avvio del progetto del Cag. Ed anche in questo contesto lancia altre proposte per affrontare le problematiche giovanili delle quali ha il polso come logopedista della Asl, nella sede di via Colautti: “Assistiamo ad un aumento di patologie di ansia e depressione che la pandemia ha amplificato nella solitudine imposta. Eppure se ne parla troppo poco… Il passaggio dall’ambiente protetto della scuola all’università, ad esempio, necessiterebbe di un servizio di tutoraggio, magari anche da parte di anziani, in un vero scambio tra generazioni. Come anche affrontare seriamente il problema dei ‘neet’ e di quella che si chiama la ‘sindrome da rinvio’: si stima che in Italia i giovani rimangono a casa dei genitori fino ai 30 anni mentre in Germania e Francia fino a 24 anni ed in Danimarca fino a 17 anni e mezzo… Servono serie politiche per i giovani ma anche costruire un contesto creativo intorno a loro. La metafora del filo sospeso del cortometraggio è quindi calzante. Oggi i giovani si sentono persi, hanno assoluta necessità di ritrovarsi insieme, di far diventare il loro mondo a colori come chiede questo film”.

Più che mai significativo l’intervento rivolto direttamente ai giovani presenti tra il pubblico di Graziella Viviano, la monteverdina diventata una delle maggiori testimonial sulla sicurezza stradale in Italia dopo la morte nel 2018 della figlia Elena, a 26 anni, in un incidente in moto causato dall’asfalto dissestato sulla via Ostiense: “I ragazzi sono fortemente disorientati ma devono capire che le loro crisi sono normali, che le abbiamo tutti, che la paura della prima volta esiste ad ogni età. L’importante è che la disperazione non si arrotoli su se stessa… Purtroppo oggi il suicidio è seconda causa di morte sotto i 25 anni. I ragazzi devono capire che questo non è il paradiso ma che in esso c’è tanto di positivo da trovare perché così facendo renderanno migliore la loro vita e quella di chi amano. Anche nei momenti più disgraziati devono avere fiducia in se stessi, accettare le sconfitte, imparare a perdonarsi, amarsi, impegnarsi e così facendo si aprirà magicamente una strada che aiuterà a venire fuori anche da cose assurde. E ve lo certifico io che di batoste ne ho prese tante! Ma per far questo i ragazzi devono uscire di casa, essere coinvolti in iniziative, vivere senza farsi troppe domande, come chiede di fare questo piccolo ma significativo film, che andrebbe portato nelle scuole in cui il complessato Ciocci si mette per la prima volta in ascolto di se stesso e scopre chi è e cosa vuole. Mi è piaciuta molto la sequenza della maglietta: in una società che ci impone la perfezione, anche fisica, è necessario accettare la propria inadeguatezza, anche fisica. Così si diventa liberi, si diventa se stessi. E per creare questo circuito positivo uno spazio di incontro è necessario. Ed in esso sarebbe importante la presenza anche di persone più anziane che possano essere un esempio di positività per i più giovani, Penso ad esempio ad Edward von Freymann, il padre di Gaia, la 16enne investita nel 2019 in corso Francia. Dal 2011 vive su una sedia a rotelle vittima di un incidente stradale eppure è una persona che non ha mai smesso di amare la vita”. Sulla stessa lunghezza d’onda Giada Carboni, autrice di numerosi libri sulla storia di Monteverde: “Il cortometraggio esprime chiaramente lo stato d’animo in cui si trovano i suoi coetanei in questa nostra società. Si può definire paura, disagio, incomprensione o confusione, ma in una parola si può interpretare come inquietudine. A pensarci bene l’inquietudine, che comprende gli stati d’animo dell’angoscia, dell’ansia e dell’agitazione interiore, inconsapevolmente ci nutre della speranza di vivere felici e del desiderio di vita. La pellicola ci suggerisce, infatti, di agire per poter migliorare le cose”.


Isabella Cognatti, docente al “Federico Caffè” (“l’istituto tecnico è un miscuglio di razze, di lingue, di disperazione ma lo sguardo è spesso lo stesso. Impaurito, in cerca di approvazione, di affetto, di amicizia, di accettazione”) quotidianamente fa esperienza di queste fragilità. E per affrontarle ha messo i suoi studenti in cerchio e li ha invitati a scrivere su un foglio i loro pensieri, senza remore. Così facendo, racconta, “è venuto fuori un mare di parole. Quelle di V. e del suo dolore per il fratellino morto. Quelle dell’amore travolgente di G. che si sente gaiardo e bello, ma fragile come il burro. Quelle di S. un ragazzo iperattivo, che non riesce a stare fermo, e che per questo suo problema, ha passato le medie isolato. Quelle di A. che cerca di dare meno problemi possibili alla famiglia, suo fratello ha un grave problema al cuore, e questo le toglie tutto lo spazio. Bravissima a scuola, ma non parla con nessuno, neanche a casa, ha iniziato a riempire il foglio di mille parole, quelle che non ci ha mai detto”.
Proprio all’altezza del luogo, in viale dei Quattro Venti, in cui sta svolgendo l’incontro accadde negli anni ‘70 un evento che la scrittrice Patrizia Pieri, fotografa ed oggi romanziera presente tra il pubblico, ha inserito in un suo racconto: “I comunisti stavano in cima alla salita di via Sprovieri, all’angolo con il teatro Vascello e i fascisti invece si radunavano in cima a via Busiri Vici. All’inizio si fronteggiavano da lontano poi i più coraggiosi cominciavano a correre giù per le discese e, arrivati in viale dei Quattro Venti, si affrontavano”, “prima si tiravano i sassi con la fionda, poi arrivavano alle mani e dopo scappavano per le vie limitrofe”. Un’epoca che non fu solo quella deli anni di piombo (“anzi, in un certo senso, oggi si vive uno stato di violenza più diffuso e pervasivo” sottolinea l’autrice de “Mi chiamo Yuri”) ma sinonimo di creatività, movimentismo, effervescenza di idee, voglia di cambiare il mondo. E infatti il parallelo con le esperienze di quegli anni – ricche di cineforum e “cantine” teatrali – viene spesso evocato nel corso del dibattito, in particolare dall’ospite dell’evento, l’attore e regista Francesco Nannarelli il cui Teatro dei Contrari, con la sua ricca programmazione aperta a compagnie sempre diverse, è un presidio culturale ma anche una ribalta per giovani talenti (ha, ad esempio, accolto nel 2020 il debutto di “Apocalisse tascabile” che ha imposto il drammaturgo Niccolò Fettarappa, classe 1996, tra i migliori interpreti della “generazione negata” degli under 30). “Il fatto che ci ritroviamo qui a dibattere di problemi sociali in cerca di soluzioni mi fa sentire come se ci trovassimo negli anni ‘70” afferma Laura Pettini – fondatrice con la sorella Silvia, monteverdine doc, della casa di produzione di raffinati documentari Felix Film – che ha riportato di recente il cinema nella sala parrocchiale della chiesa Regina Pacis con una rassegna dedicata proprio al tema del disagio sociale nell’ambito dell’attività di volontariato a sostegno degli emarginati svolta dai Vincenziani nella parrocchia di via Carini.

Il pubblico si richiama direttamente ai travolgenti movimenti del ’77 come del ’68 per evidenziare la necessità di un nuovo protagonismo che esorti i giovani ad uscire dal meccanismo “videogiochi-cellulare-food-calcio” in cui consumano le loro giornate per “fare una vera esperienza del loro tempo” come sottolinea Alessandra Loriga, insegnante della scuola “Margherita Hack”: “Vedere lavori come questo film mi dà speranza e coraggio. Ai giovani dobbiamo dare strumenti concreti per sperimentare le loro passioni ed idee. E questo quartiere ha bisogno di una maggiore spinta vitale, avere più spazi di incontro per tutti e non veder chiudere le librerie, ad esempio…”. Il riferimento rimanda a “I Trapezisti”, la libreria di via Mantegazza che ha chiuso i battenti malgrado una ricchissima programmazione di incontri, corsi e seminari e la cui ex proprietaria Barbara Salsetta, presente tra il pubblico, spiega: “Vengo da una esperienza in cui abbiamo provato a creare una realtà di aggregazione e sappiamo quindi quanto questo quartiere abbia bisogno di un luogo per incontrarsi e sperimentarsi, specie in ambito artistico e creativo. E questo permette a tutti, ma specie ai più giovani, di far emerge il proprio mondo interiore che, in genere, non viene mai tirato fuori. Cesare De Simone è stato molto bravo a mettere in luce la complessità umana e la difficoltà nel ricercare la propria strada nella vita. Una esigenza che nei ragazzi di oggi è molto più presente rispetto a quelli del passato che avevano strade spesso già segnate. Ma la società non li aiuta in questa ricerca ed in tanti rinunciano, perdono coraggio… In Svezia, ad esempio, i centri sociali per i giovani sono legati a quelli di collocamento”.
Accanto a lei Giusi Cataldo, attrice in “Compagni di scuola” di Carlo Verdone e di numerose serie tv, da “Centovetrine” a “Un posto al sole”, da “Distretto di polizia” a “Don Matteo” che sollecita il giovanissimo autore a parlare della genesi e dell’evoluzione del suo lavoro: “Avevo in mente questa frase – quando chiudi gli occhi cosa vedi? -, una domanda che è evoluta in un dialogo interiore che è diventato esteriore, teatralizzandolo quasi, con una coscienza che costringesse Ciocci – il mio tragicomico alter ego – ad esternare quel senso di disagio ed insicurezza che non ero ben capace di esprimere a parole. Ne sono nate una serie di domande, che non necessariamente devono avere delle risposte perché parliamo di una presa di coscienza progressiva… Per questo il finale resta aperto e farò un altro cortometraggio su questo personaggio, per i quali sto cercando di coinvolgere altri ragazzi. Il prossimo set? Villa Pamphili…”. Nell’attesa, intanto, vedremo Cesare De Simone ricordare che il nostro quartiere non ha più un cinema tutto suo nel docufilm “Monteverde – Vita di un quartiere” del fotoreporter Antonio Totaro, testimonianza viva di un territorio dalle tante anime. La proiezione il 25 maggio, dalle ore 11, al Teatro Vascello, con ingresso libero.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *