Omicidio Regeni, rinviati a giudizio i quattro agenti egiziani. Processo il 20 febbraio 2024

Saranno processati in Italia i quattro membri dei servizi segreti egiziani accusati di aver torturato e ucciso a il Cairo il giovane ricercatore universitario Giulio Regeni , ritrovato cadavere e con evidenti segni di tortura nel 2016 in una strada alla periferia della capitale egiziana. Il processo inizierà il 20 febbraio davanti alla prima sezione della Corte d’Assise. Lo ha stabilito il giudice per l’udienza preliminare di Roma al termine di un tortuoso iter giudiziario e dopo che la Consulta, nel settembre scorso, aveva fatto uscire il procedimento dal pantano in cui era finto a causa dell’assenza degli imputati, che risultavano irreperibili nell’evidente tentativo di sottrarsi alla giustizia dopo un’inchiesta segnata da numerosi depistaggi. “Ringraziamo tutti, oggi è una bella giornata”, ha detto Paola Deffendi, la madre di Giulio lasciando visibilmente commossa la cittadella giudiziaria della Capitale assieme al marito Claudio . La Presidenza del Consiglio si costituirà parte civile.

La Procura può quindi procedere con un secondo rinvio a giudizio dopo quello “naufragato” sul nodo legato all’assenza del generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi e il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif. “L’assenza degli imputati non ridurrà il processo ad un simulacro – ha detto in aula il procuratore aggiunto Sergio Colaiocco -. Poter ricostruire pubblicamente in un dibattimento penale i fatti e le singole responsabilità corrisponde ad un obbligo costituzionale e sovranazionale. Un obbligo che la Procura di Roma con orgoglio ha sin dall’inizio delle indagini cercato di adempiere con piena convinzione”.

La decisione della Consulta ha impresso una svolta al procedimento dichiarando illegittimo l’art. 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice possa procedere in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo.

In base a quanto stabilito dalla Consulta è sufficiente che gli imputati, così come già accertato, siano a conoscenza dell’ “esistenza” del procedimento. In questo modo è stato superato l’ostruzionismo messo in atto dalle autorità egiziane.



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