“A Gaza e nei Territori occupati un massacro senza precedenti con la complicità dell’Occidente”

di Cristina Mattiello Comitato solidale antirazzista Monteverde

La tragedia della Palestina ha risuonato anche a Monteverde, in un incontro intenso e molto partecipato organizzato da Monteverde per la pace, un nuovo coordinamento di realtà di base già attive sul territorio (Comitato solidale antirazzista Monteverde, Reti di pace, Cantiere La Tela, Roma XII per la Costituzione, Beni Comuni XII, APS Canapè, Spazio Popolare Camilla e persone a titolo individuale): una sinergia molto promettente. L’incontro, “Cessate il fuoco! No al genocidio del popolo palestinese”, si è svolto il 9 febbraio nella Sala Buttinelli della parrocchia della Trasfigurazione, con tre relatori: Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, Moshe, rappresentante del Laboratorio Ebraico Antirazzista e il politico e giornalista palestinese Ali Rashid.

Amnesty International , per la sua specificità in tema di difesa dei diritti umani, segue da sempre con molta attenzione la condizione dei palestinesi e diamo largo spazio a questo intervento per la sua puntualità sul piano dell’informazione di base. Noury è partito dall’oggi drammatico, con Israele che accelera i preparativi per l’invasione di terra proprio nella zona meridionale estrema, Rafah, dove ha spinto quasi tutta la popolazione sopravvissuta ai suoi attacchi di questi mesi, tra cui – dati Unicef – circa 600.000 bambini, che, per colpire le 4 postazioni di Hamas che ritiene esserci, vorrebbe evacuare. Ma “Dove?”, considerando il numero, e che tutto ciò che c’è a Nord è stato in larga parte distrutto, che mezzo milione di persone sono letteralmente alla fame e le altre in condizioni di acuta insicurezza alimentare, che non c’è più una struttura medica perfettamente funzionante e che molte non sono più operative. Una ricerca di Amnesty ha appurato che a Rafah, che doveva essere la zona “più sicura”, già ci sono stati “quattro attacchi contro quattro edifici abitati da famiglie di civili che avevano ospitato parenti che venivano dalle zone evacuate”.

Se il piano procede sarà “un ulteriore bagno di sangue che si aggiungerà al bagno di sangue in corso da mesi”. Il 7 ottobre, ha spiegato Noury, Hamas ha commesso “crimini di guerra”, l’attacco a civili e il rapimento di ostaggi civili. Ma anche nei più pesanti dei cinque attacchi israeliani a Gaza già avvenuti, Piombo fuso e Margine protettivo, durato 50 giorni, Israele alla fine era stato convinto al negoziato. Ma quello che sta accadendo in questi mesi è senza precedenti da ogni punto di vista, in termini di vite umane, 28.000 civili ora, a cui dobbiamo aggiungere migliaia che sono sotto le macerie, a cui dobbiamo aggiungere 60.000 feriti, molti con disabilità permanenti. Il 5% della popolazione di Gaza, percentuale prudente, è stato colpito direttamente. Sono stati mesi di attacchi contro i civili, contro infrastrutture civili, che hanno colpito direttamente centri abitati, campi di rifugiati, ambulanze, ospedali, rifugi, attacchi indiscriminati – non si sono fatto scrupolo di eliminare centinaia di civili intorno a presunti obiettivi militari”. Da quando Hamas ha vinto le elezioni (2005) Israele ha ritenuto che la sua sicurezza per questo fosse un problema da eliminare: “e questa è la volta in cui questa intenzione sta andando fino in fondo, con l’ovvia conseguenza che per farlo sta decimando la popolazione civile, che per il solo fatto che non sa dove andare non può essere considerata collusa con Hamas.

E quando Guterres, Segretario Generale dell’ONU, ha detto, attirandosi una serie di insulti, che il 7 ottobre non è caduto nel vuoto, ha unicamente detto che non c’è un’unica data nel calendario di quella parte di mondo”, c’è un prima e c’è un dopo: considerando le cause di fondo, ha continuato Noury, la parola chiave del diritto internazionale per descrivere la situazione è “apartheid”: “un sistema di dominazione, oppressione, controllo, spossessamento, occupazione, che lo Stato di Israele applica nei confronti della popolazione palestinese che è sotto il suo controllo all’interno dei confini israeliani ma soprattutto nei Territori palestinesi occupati, che sono tali dal 1967 e comprendono Gerusalemme Est, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza”. In quest’ultima “al di là di un blocco economico illegale, il cielo, la terra, l’acqua sono controllati da Israele, che decide cosa entra e cosa non entra, chi può uscire o non può uscire, che abbatte ogni tentativo di protesta pacifica”.

Per questo giuridicamente, per la IV Convenzione di Ginevra, la Striscia di Gaza è “occupata”, come la Cisgiordania (la cartina in foto è tratta da Wikipedia). E questo comporterebbe secondo il diritto internazionale l’obbligo dell’occupante a garantire il benessere della popolazione e l’”equilibrio demografico”. Invece in Cisgiordania i coloni sono ormai mezzo milione, e in questi mesi, protetti dal governo e dai soldati, mettono quotidianamente in atto ogni forma di sopraffazione e violenza, uccidono anche, senza che il mondo se ne accorga. E aumentano gli arresti indiscriminati. Gli accordi di Oslo nel 1992 avevano riconosciuto un’Autorità palestinese, che poteva controllare una “Zona A”, mentre una “Zona B” era a “controllo misto” – cioè controllo civile palestinese e militare israeliano”, e una “Zona C” gestita direttamente da Israele. Quindi ai palestinesi il controllo neanche del 20% del territorio, e ovunque il sistema di apartheid: “doppia giustizia, con tribunali militari per i palestinesi, requisizione di terre, divieto di edificare, sistemi di check-point e posti di blocco, con il completo arbitrio dei soldati.

A Hebron è stato applicato un sistema di intelligenza artificiale che scatta fotografie, migliaia e migliaia di facce di palestinesi, e se c’è qualche dato problematico, quella persona non viene fatta passare neanche per andare a casa”. Quindi Amnesty denuncia il problema sia della fornitura di armi a Israele, sia della fornitura di tecnologia per il controllo dei palestinesi. Noury ha anche parlato delle accuse di antisemitismo che in Italia riceve subito chi usa ad esempio termini come “apartheid” o “pulizia etnica” per la Nakba –mentre in Israele gli storici e le organizzazioni per i diritti umani li utilizzano da prima di Amnesty. E sulle accuse all’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, che è a Gaza perché la popolazione è in larga parte composta da chi subì la Nakba: “Sono sotto accusa 12 persone, 9 delle quali sono state licenziate, e su tutte è stata aperta un’indagine. Quindi lo 0,09 del personale di un’Agenzia da cui dipende la sopravvivenza di 5,9 milioni di palestinesi”: e per questo i paesi più ricchi del mondo, tra cui quello italiano, hanno interrotto i finanziamenti! Una complicità di fatto nel massacro in atto. Gli altri due interventi, di forte intensità emotiva, hanno presentato una testimonianza di chi vive questa tragedia, anche se in modo diverso, sulla propria pelle. Moshe ha spiegato l’esperienza del Laboratorio Ebraico Antirazzista, nato nel marzo 2023 ad opera di giovani ebree ed ebrei italiani “dalle molteplici esperienze biografiche e geografiche”, che si battono “per una pace giusta in Medio Oriente, in opposizione alle politiche di segregazione e occupazione della Palestina e contro l’antisemitismo e ogni forma di razzismo presente all’interno delle nostre società”, incluse quelle nate dalla disuguaglianza, in Italia come in Israele. Si sono impegnati con grande coraggio e generosità in questa circostanza, partecipando a presidi e incontri sui territori, e sono in contatto con analoghi gruppi israeliani, oggi fortemente repressi, e con le voci ebraiche italiane per la pace che stanno emergendo (ultimo l’appello “Mai indifferenti”).

Ha concluso l’incontro Ali Rashid, in passato vice-Ambasciatore della Palestina in Italia, giornalista anche per testate arabe, sottolineando che “non ci sono parole per esprimere l’immensità del dolore”: questa guerra condotta da mesi continuamente, con tutti i mezzi, il livello delle distruzioni, il numero delle vittime dimostrano che questi non sono “effetti collaterali”, ma l’”obiettivo vero, l’obiettivo mirato”. Se si analizza la questione storicamente, del resto si vede che la “vittoria finale” di cui oggi parla il governo israeliano si poteva intravedere già nella Nakba – 430 villaggi distrutti con massacri e espulsioni – e nel famoso slogan “una terra senza popolo per un popolo senza terra”. Al fondo quella di Israele è una politica coloniale, sostenuta da potenze coloniali, ma neanche i paesi arabi sono amici dei palestinesi, come dimostrano la storia recente e anche l’attualità: l’Egitto si fa pagare 10.000 Euro per uscire! I palestinesi gradualmente stanno perdendo tutto, ma la soluzione va cercata nella loro terra, una soluzione politica giusta che garantirebbe anche la sicurezza per Israele. L’interesse dimostrato dal pubblico fa ben sperare per il proseguimento delle attività di Monteverde per la pace: primo appuntamento, il 24 febbraio, con la partecipazione alla mobilitazione diffusa per la pace.

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