Patrizia Pieri: “Da Monteverde racconto la nostra Roma ferita”

di Marina Greco

Incontro con la fotografa che ha esordito nel romanzo con “Mi chiamo Yuri” e “Le Coincidenze”, diventati due casi editoriali in grado di unire storie di luminoso sentimento a trame (vere) di malessere sociale e malaffare. Una autrice globetrotter ma per la quale Villa Sciarra resta il posto del cuore.

Se si potesse concentrare in una parola il percorso artistico di Patrizia Pieri sarebbe: verità. Così come la intendevano gli antichi greci nel loro definire alethéia; la rivelazione, il disvelamento di ciò che è da sempre ma che l’essere umano non riesce a vedere. Che sia uno degli innumerevoli baci da lei ritratti – un percorso trentennale di foto spesso rubate, attimi fuggenti fermati nel divenire metropolitano – in cui la sensualità si rivela nella sua intima naturalezza, o le linee di un corpo femminile che si libera dai contorni netti del femminile per farsi umanità assoluta, o quelle di un uomo i cui muscoli vibrano piuttosto di fragilità. O ancora i suoi due libri in cui la fotografia intimista – che per anni ha sillabato sentimenti – è scesa sulle pagine di carta per diventare parola: tutta l’opera dell’autrice romana trova nella ricerca della verità il suo punto cardinale. Con l’amore, inteso in ogni sua sfaccettatura, a tracciare i sentieri di questo peregrinare. “Nei miei libri c’è sempre una storia d’amore non specificata, non resa cruda. L’amore è il motivo della mia vita. Credo molto nel sentimento amoroso, quello che muove la vita, le cose belle, le relazioni, i rapporti, l’amicizia, che passa dai gesti che facciamo…” racconta durante un incontro, in un caffè del suo quartiere da sempre, Monteverde Vecchio. Poco distante c’è Villa Sciarra assurta a luogo dell’anima nel romanzo di esordio “Mi chiamo Yuri” edito con Ensemble, in cui il vuoto immane della perdita di un figlio viene colmato fino a traboccare di tutto quanto rende la vita meritevole di essere vissuta: la giovinezza, l’amicizia, la dolcezza di un tramonto. Una lucentezza tenera che – proprio come in uno dei chiaroscuri fotografici (e “Chiaroscuro di donna” si intitola uno dei suoi libri fotografici, del 1997, con scatti intimisti su donne non più giovani) – Patrizia Pieri fa emergere con nitidezza accostandola sorprendentemente a storie oscure di malessere sociale e di malavita.

Una cifra stilistica che emerge con ancora più forza nel secondo libro, “Le Coincidenze” (uscito a fine 2022, ancora con Ensemble), che ricostruisce una vicenda avvenuta nel 2018, a tre anni dallo scandalo di Mafia Capitale e racconta la corruzione giudiziaria ad esso legata. “E’ una storia vera ambientata a Trastevere, veri sono i suoi personaggi, la giornalista, le amiche…”. Nell’ultima pagina c’è anche un aggiornamento basato su atti giudiziari, sull’indagine che conduce il giudice che doveva indagare in questo anno decisivo agganciato a Mafia Capitale e dalla quale emerge la realtà dei poteri forti che governano Roma, l’abilità nell’esercizio del malaffare, la corruzione celata ma divenuta prassi…. Ma c’è anche l’amore, inaspettato, che nasce tra due sessantenni, la solidarietà tra amiche che sconfigge la solitudine. “Se la storia siamo noi allora vuol dire che le nostre storie tutte insieme formano la storia di questa grande metropoli che chiamiamo Roma”. E c’è anche un diretto aggancio tra i due romanzi: Valentina, la giovane amica di Yuri che approda nello studio del magistrato antimafia.

Continua, anche nel secondo romanzo, il modo di scrivere di Patrizia Pieri volutamente semplice e adamantino, in grado però di accompagnare il lettore in un complesso mondo di emozioni, sofferenze, oscurità. “Voglio arrivare a tutti e la mia soddisfazione più grande è quella di riuscire a far leggere persone che normalmente non lo fanno” spiega. Una impresa che le è riuscita con “Mi chiamo Yuri”: è riuscito a farsi strada nel cuore di molti lettori pur se uscendo in piena pandemia da Covid, avvalendosi solo di presentazioni on-line. Un piccolo caso editoriale che peraltro, “ha appassionato a sorpresa soprattutto lettori uomini, molti mi hanno scritto…”. Nella comitiva degli amici di Yuri – Andrea, Loris, Mirketto, Giulio, Simone e Valentina – tanti hanno rivissuto gli anni della propria giovinezza metropolitana, spavaldi e sornioni. Riannodando, nella ricerca di verità sulla scomparsa di Yuri, il filo dei ricordi trascorsi seduti di fronte al panorama della città distesa sotto le loro speranze giovanili, sulla scalinata di largo Berchet, la piazzetta vicino alle mura di Villa Sciarra o sotto il tempietto all’interno del parco, quello che campeggia sulla copertina del libro; metafisica foto scattata dalla stessa autrice che si staglia nell’azzurro del cielo: “Il mio luogo preferito” confessa, aggiungendo con il suo sorriso che mescola dolcezza ad ironia: “Il mio crepuscolo degli Dei”. Un libro che è stato molto amato anche dagli abitanti del quartiere: Monteverde, una zona sospesa sulle pendici di un colle sulla destra del Tevere.

Nel suo sito web si può leggere un racconto presente nella antologia “A Roma Monteverde” del 2021, un nostalgico e tenero ritratto del quartiere che una nonna fa al nipote, anche nel crudo rievocare gli sconti tra comunisti e fascisti a fronteggiarsi in due strade in salita, gli uni in via Sprovieri e gli altri in via Busiri Vici per poi caricare e scontrarsi nella sottostante viale dei Quattro Venti. “Ho vissuto anche in altri quartieri ma poi sono sempre tornata qui, dove posso coltivare l’umanità dei rapporti che va oltre le convenzioni. Mi incontro ancora con le compagne di scuola. E cammino tanto nel quartiere. Quando cammini ti vengono tante idee, pensieri, ricordi. Mi dispiace certo vedere il degrado che avanza, la mancanza di attenzione verso il cittadino, sentire le persone rassegnate perché credono di non poter incidere sulla vita pubblica. Ho vissuto gli anni 70/80, avevo forte la speranza di un cambiamento temo ma che non vedrò quello per cui ho lottato da ragazza”.

La storia di dolore ma anche di bellezza di “Mi chiamo Yuri” ha conquistato anche il pubblico degli Stati Uniti, dove il romanzo, tradotto da un’amica dell’autrice, è approdato nel 2022 (per la casa editrice Austin Macauley Publishers di New York): “Ho tanti amici, anche all’estero. Amici veri. Credo molto nell’amicizia, soprattutto tra donne, nella sincerità, nell’ascolto, nel bacio, nell’abbraccio reale, nel sano confronto che ci fa scambiare idee ed imparare sempre qualcosa dagli altri. I social network ci svuotano, ci impoveriscono, consumano il nostro tempo tra le dita che tengono il cellulare”. Una sorellanza (e anche fratellanza) gentile che per Patrizia Pieri nasce anche tra il fruscio delle pagine di un libro come accade nel suo circolo di lettura del mercoledì, denominato UMDL cioè “Un mercoledì da lettori” o come in quello condotto a Valcanneto, vicino Cerveteri. Non a caso “il culto della lettura, i libri come sale e colore nella vita” è presente ne “Le Coincidenze”. Come anche, sullo sfondo della sua storia di denuncia di una Roma “non felix” (evocando il titolo di “Roma felix” del 2019 del gruppo Walking Vision di cui Patrizia è socia in cui ha presentato “foto belle e allegre di una Capitale maltrattata”) l’urgenza di “dare voce a chi non ha voce”. “Una scelta anche politica – spiega – che ha fatto anche Daniele Mencarelli che a me piace moltissimo come anche Pino Rovereto”. Un approccio empatico che ha permesso all’autrice di essere negli anni 90 una delle fotografe che è riuscita a scattare dei nudi maschili. Uomini che non avrebbero mai accettato di posare in questo modo si sono “fidati” e “affidati” per un lavoro commissionato e confluito nel 2001 a Ferrara nella mostra “Corpi e Corpi – tendenze e contaminazioni nella fotografia femminile”. Il “sentimento come modus vivendi” è d’altronde dichiarato da Patrizia Pieri nella sua biografia
A segnare una svolta nel suo percorso umano oltre che professionale il diploma di counselor presso la scuola Aspic di Roma specializzata in psicoterapia umanistica e psicologia clinica di comunità, con una tesi sulla fotografia come strumento curativo. Una giovinezza complessa, un difficile rapporto con la madre, hanno fatto accostare Patrizia al mondo della psicoterapia. “Sono grata a mio padre per l’amore che mi ha dato. È anche questo che mi ha permesso di non essere arrabbiata con l’altro sesso”. Nasce così la sua fotografia “sociale”, di denuncia – unita al peregrinare della globetrotter – che la porta lontano nelle favelas brasiliane come ad indagare il lavoro precario (nel suo libro “La clessidra svuotata” del 2000) ma anche a ritrarre con delicatezza la disabilità ed il lavoro nel reparto di ematologia dell’ospedale San Camillo di Roma, tra i piccoli pazienti leucemici. Con l’associazione Alba, della quale è stata presidente, ha promosso nel 2004 un calendario per raccogliere fondi con giovani attrici e attori, “alcuni in quel tempo ancora non famosi”, come Martina Stella, Jasmine Trinca, Barbora Bobulova e Raul Bova, Ricky Memphis, Simone Corrente e Valerio Mastandrea (“una persona generosissima”). E’ al San Camillo che scatta una fotografia ritraente un ragazzo di spalle, seduto su una staccionata, con una ragazza che lo guarda con amore raggiante: la notizia di una guarigione? O forse solo la vitalità che più erompe dove è destinata a spegnersi? Una delle sue tante istantanee provvidenzialmente “rubate” al flusso del tempo che diventa virale nel web. “Qualche volta la fortuna mi fa trovare nel posto giusto a cogliere l’attimo ed è fatta” spiega per parlare della sua fotografia, aggiunge: “ma fotografare per me è cercare qualcosa che va oltre il vedere. Sia in fotografia che in scrittura ho già l’idea di ciò che voglio trasmettere e cerco di dare forma e corpo all’idea. L’immagine, come il libro, nasce e poi va per la sua strada” e “molte persone amano la mia scrittura perché, dicono, sembra di vedere le cose che descrivo. Ed è diverso tra guardare e vedere… In tanti non vedono…”

Non è d’altronde un caso che i suoi romanzi siano accompagnati anche da booktrailer. E non a caso la “nuvola a forma di drago” evocata in “Mi chiamo Yury”, abbia avviato una serie fotografica sulle finestre, oggetti per antonomasia che aprono all’oltre (delizioso e intenso il racconto “Constatazioni di Elena alla finestra” pubblicato nel suo sito web durante l’esperienza del lockdown: “Giorno dopo giorno ho iniziato a fotografare la vita fuori dalla finestra. Nel silenzio. Dall’alba al tramonto. Poi durante la notte. A volte così concentrata da saltare i pasti…”). Alcune delle sue “finestre” se ne possono trovare nel suo profilo Instagram che firma come “pattyripitty” (una di queste foto è la copertina de “Le Coincidenze”). Del 2010 è invece la mostra (anche libro e video) “L’abbraccio delle labbra” che conclude il percorso di Patrizia Pieri sul tema del bacio. Un percorso iniziato fin dagli anni ’70, per immortalare quella che definisce la “massima espressione d’intimità e bellezza tra due persone in una relazione vera”. Come nella foto di una coppia di anziani colti, nel 2010, sulla banchina della stazione ferroviaria di Trastevere a darsi un bacio appassionato (lei, con la valigia in mano, abbandonata all’abbraccio di lui) cui Patrizia dà il titolo “Abbraccio di menti che insegnano luce”. A suggello della sua ricerca del momento in cui l’esistenza emerge sotto luce del sentire più che del vedere, rivelando la sua vera, intima ed ultima essenza…sempre per citare una sua mostra, del 2004, “concepire l’infinito”.

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