di Luisa Stendardi
Il comitato popolare Monteverde per la pace ha organizzato lo scorso 18 Ottobre presso la sala Buttinelli ,un secondo incontro – dibattito sulla drammatica condizione del popolo palestinese.
Il primo incontro si era svolto all’inizio dell’anno in corso ,il 9 Febbraio, su iniziativa di Monteverde antirazzista,con la partecipazione di tre relatori :Riccardo Noury , portavoce di Amnesty International, Ali Rashid, un politico palestinese e un rappresentante di Lea (Laboratorio ebraico antirazzista). A distanza di otto mesi da quella data, non solo non è avvenuto il Cessate il fuoco che molti chiedevano da varie parti del mondo, ma il conflitto, alimentato dalla feroce reazione del governo israeliano al massacro del 7 Ottobre, si è purtroppo allargato ad altri paesi e la condizione del popolo palestinese , sia a Gaza che nei Territori occupati è divenuta insostenibile.
Questo secondo incontro , è stato pertanto incentrato sulle reti di aiuti concreti che si sono costituite in Italia , in Europa e negli Stati Uniti per sostenere attivamente il popolo palestinese in questo drammatico passaggio della sua storia. La sala Buttinelli dedicata, guarda caso ,al parroco che durante la seconda guerra mondiale accolse ebrei e perseguitati dal regime fascista ,si è presto riempita , nonostante la pioggia, per lo più della gente del quartiere. Serena del Comitato Monteverde per la pace, ha introdotto l’incontro con una breve storia dell’attivismo nel territorio di Monteverde. L’ allargamento ad una platea più vasta dell’originario Comitato antirazzista che da diversi anni operava nel quartiere , è stato possibile per volontà degli stessi attivisti con l’obiettivo di mettere la pace in primo piano e soprattutto per cercare di rispondere al crescente sentimento d’indignazione e rifiuto della guerra che si diffondeva tra la gente a partire dal 2022 con il conflitto in Ucraina e successivamente con l’apertura dell’altro scenario di guerra nel Medio Oriente.
La prima a portare la sua testimonianza è stata Gianna, dell’associazione Gazzella onlus che si occupa della cura e riabilitazione dei bambini feriti a Gaza e che ,nell’attuale situazione, è impegnata prevalentemente nella distribuzione di viveri agli sfollati nella zona centrale e meridionale della striscia, l’associazione opera nel territorio di Gaza dal 2012 .Gianna esordisce nel suo intervento con una constatazione “Io voglio dire una cosa, in questi ultimi giorni , dopo l’attacco in Libano dell’esercito israeliano , la situazione a Gaza sta peggiorando. Il Nord della striscia lambisce Gaza city, compresi villaggi ed ospedali. Viene fuori una strategia , un disegno non dichiarato di rioccupare la terra e di gettare le enormità di macerie che ci sono a Gaza nel mare, come è avvenuto durante la seconda guerra mondiale a Trieste per allargare la terra utilizzabile. Sto cercando di pensare cosa noi possiamo fare per la solidarietà nei confronti dei palestinesi ed anche degli ebrei israeliani che vanno adesso nei Territori palestinesi a fare interposizione con i coloni per consentire ai contadini di raccogliere le olive. Dobbiamo unire le forse per le due popolazioni che comunque sono lì, israeliani e palestinesi”
Il nome Gazzella deriva da quello di una bambina ferita in Cisgiordania, ritratta in una foto storica con il padre che la proteggeva dietro un muro. L ’associazione nasce nel 2001 per l’adozione a distanza dei bambini palestinesi feriti in Cisgiordania e soprattutto a Gaza, dove i bombardamenti a si sono susseguiti, a fasi alterne ,dal 2008 fino al 2022 ed ogni volta sono stati soprattutto i bambini a pagare, perché la loro vita ,con i doppi turni scolastici, si è sempre svolta prevalentemente in strada .” Gazzella onlus non ha finanziamenti pubblici, ha solo la solidarietà dei cittadini italiani. Negli anni sono state attivate qualche migliaio di adozioni. A lato delle adozioni abbiamo fornito materiale medico : incubatrici, sedie a rotelle, farmaci ecc… In seguito abbiamo sviluppato progetti per affrontare lo stress post traumatico dei bambini.”
Dopo Gianna , prende il microfono Mannino, storico attivista di Faz3a, la campagna internazionale per la protezione della popolazione civile palestinese, un’iniziativa autonoma , indetta dal coordinamento dei Comitati per la lotta popolare non violenta. Dal 2006 la Campagna è stata organizzata in Cisgiordania per la raccolta delle olive, nei mesi di Ottobre e Novembre con il contributo dei volontari di molte organizzazioni internazionali. Dal 9 Luglio scorso è stata lanciata una campagna speciale per proteggere ,con azioni non violente, i civili palestinesi residenti nelle campagne, dalle crescenti aggressioni dei coloni e dell’esercito israeliano. “Al confine della linea verde, sorsero i comitati popolari di resistenza non violenta alla costruzione del muro di separazione che attraversa la Cisgiordania. Mi preme dire che sono i palestinesi riuniti in questi comitati che ci chiedono di inviare volontari per sostenere la popolazione civile. Il 20 Agosto scorso sono partito come volontario, con un’altra attivista ,per aderire a questa campagna e sono tornato dieci giorni dopo. La prima impressione favorevole è stata la constatazione di un buon livello di organizzazione. Quando arrivi è previsto un giorno di formazione in cui ti spiegano l’abc della non violenza, ti insegnano i passi principali della de-escalation, come cercare di raffreddare situazioni di grande tensione e conflittualità, ti spiegano quali sono i corpi militari che ti troverai di fronte: l’esercito, i coloni, la polizia, il colore delle divise, delle camionette, i tipi di armi e di proiettili e soprattutto c’è la massima salvaguardia delle persone, le azioni si discutono collettivamente, se qualcuno non è d’accordo, è libero di non partecipare . Dopo questo giorno di formazione il Coordinamento assegna i volontari ai vari Comitati popolari. I più bravi ed efficienti sono i volontari americani. Io e la mia compagna di Milano siamo stati destinati nel nord della Cisgiordania ,in un villaggio di circa 5.000 abitanti, sotto Nablus, con tutte le alture circondate da insediamenti dei coloni.In quel caso si trattava di uscire con il pastore per accompagnarlo al pascolo. Accade spesso che il pastore sia aggredito e che le pecore vengano rubate. Durante le nostre azioni di accompagnamento siamo stati identificati dall’esercito e invitati ad allontanarci. Noi abbiamo sempre resistito e non sono mai accaduti episodi violenti. Dopo che siamo tornati in Italia, sappiamo però che la situazione si è rapidamente aggravata, ci sono arrivati dei video dal nostro villaggio dove si vedevano coloni scatenati, più che altro sono degli sbandati che vengono anche pagati, sono delle vere e proprie bande armate. Tra l’altro un’attivista americana è stata uccisa da un cecchino . Nel frattempo oltre all’esercito, hanno costituito un corpo misto di miliari e coloni , ai coloni gli hanno dato le armi con il compito di fare più danni possibile. Questa forma di resistenza popolare non violenta non si svolge nelle città ma nelle campagne , nelle zone agricole. Ora però la situazione è talmente degenerata che al momento la campagna è sospesa perché ci hanno riferito dai villaggi che di fatto non escono più di casa”.
Per ultimo interviene un esponente del Laboratorio ebraico antirazzista (LEA) “ Da poche settimane si è costituito un coordinamento di vari collettivi europei : ,European Jews for Palestine” Una rete di vari paesi europei: Lussemburgo, Spagna, Danimarca, qualcuno anche in Israele, con l’obiettivo di avere più voce in capitolo e più forza, come già avviene negli Stati Uniti.” Daniel inizia il suo intervento con una premessa che riguarda i numeri : gli ebrei italiani sono pochi, la comunità italiana non arriva ai grandi numeri di quella francese , inglese e degli Stati Uniti, di conseguenza anche i numeri del dissenso dalle posizioni ufficiali , sono esigui. “Il mondo ebraico è variegato, non è un monolite, come non lo sono i palestinesi, gli italiani e più in generale qualsiasi gruppo sociale ,però il problema, da un anno a questa parte , è l’appiattimento delle posizione pubbliche delle comunità sulla retorica del governo israeliano che per noi è un problema che ci crea disagio. Lo sdegno per tutto ciò che accade e che viene fatto in nostro nome ci ha spinto ad organizzarci, in realtà , come ebrei non saremmo tenuti a dire nulla, ma , per fare un esempio la stella ebraica che è un nostro simbolo religioso oggi viene vista inevitabilmente, identificata come un simbolo della bandiera d’Israele e pertanto dileggiata. Esporsi non è facile in una piccola comunità, significa litigare nelle proprie famiglie ,con gli amici, ma penso che sia necessario e speriamo con una rete europea di creare un dibattito più ampio, perchè la guerra polarizza, non fa vedere le sfumature, appiattisce. Qui in Italia come Lea siamo pochi , cerchiamo di tessere reti internazionali, perché crediamo nell’internazionalismo , nella necessità di collegarci con altri gruppi e comunità. In Israele ci sono persone come i refusenik ,gli obiettori e obiettrici di coscienza che verranno a Roma il 24 e 25 ,stanno facendo un tour in tutta Italia, in vista della partecipazione alla manifestazione del 26 Ottobre, a cui noi come Lea parteciperemo.”
IL 26 Ottobre ,per la cronaca, è stata indetta una giornata di mobilitazione nazionale con manifestazioni in varie città d’Italia per chiedere il Cessate il fuoco a Gaza, in Medio Oriente, in Ucraina e in tutti i conflitti armati , la manifestazione è stata organizzata dalla Rete italiana Pace e disarmo,dalla CGIL , dalla Coalizione Assisi pace e giustizia e da tante altre associazioni.
La serata si conclude con le domande dal pubblico che si è mostrato molto attento e interessato, Carla fa a Daniel la domanda che lui ritiene più difficile “Quanto conta il ricordo delle persecuzioni che ha subito nei secoli il popolo ebraico , e in particolare la memoria della Shoà nell’atteggiamento degli ebrei verso Israele ? “Conta tanto, il trauma incide per due, tre generazioni, il trauma si trasmette ,vale per chiunque , per noi, per i palestinesi che hanno vissuto la Nakba , ve lo posso assicurare sulla mia pelle ,io sono nipote di sopravvissuti dai campi, il mio bisnonno è stato ucciso alle Fosse Ardeatine, c’è poi chi è stato esiliato dalla Libia, dal Libano dove gli ebrei vivevano da secoli, il trauma conta ,incide e si trasmette “.
“