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Giorgio Calcaterra : io, maratoneta tre volte campione del mondo, ora corro per beneficenza

Intervistare un atleta è come avere un punto di vista privilegiato non soltanto sullo sport, argomento principale, ma anche e soprattutto sulla vita di quel personaggio. È un viaggio, tout court, sulle sue esperienze, sui suoi ricordi, sulle persone che ha incontrato e sulle gare come momento centrale, ma non definitivo, di una storia personale e sportiva. Sentir parlare di tempi e luoghi significa raccontare le geografie sociali di momenti particolari che segnano l’esistenza umana. Quello che emerge è che l’importante non è arrivare ma correre, correre sempre e comunque.

di Fabio Funiciello e Mario Pesce

Iniziamo l’intervista, siamo come alla partenza di una gara. Chi sei? E di cosa ti occupi…

Sono Giorgio Calcaterra, ho 48 anni, la mia attività negli ultimi anni è stata quella di atleta. Ma anche quella di avere un negozio di running a Monteverde veccio, perché due le cose si sposano. L’atleta lo faccio come corridore e il negozio vende articoli da corsa. Quindi è un modo per unire le due cose.

Come atleta i risultati maggiori sono stati: la vittoria del mondiale dei 100 km. su strada , il mio personale su questa distanza l’ho fatto durante un mondiale, nel 2012 ed è sei ore 22 minuti, 3 minuti e cinquanta secondi ogni km. Però molti mi conoscono per aver vinto dodici volte consecutive la 100 km. del “Passatore”, che è una 100 km. un po’ più impegnativa, rispetto alle altre gare, perché si arriva a 913 metri, e collega Firenze da Faenza. L’ho vinta dal 2006 che è stata la mia prima partecipazione a questa gara, per dodici anni, al 2017.

Tu nasci come maratoneta, ma poi riesci a trasformarti in un corridore da lunghissime distanze. Ci puoi raccontare il tuo percorso?

Sono arrivato un po’ tardi alle maratone perché avevo fatto una esperienza a diciotto anni che mi aveva lasciato delle tracce e mi aveva fatto lasciare questa strada.

Io so che non se sei nato a Monteverde. Come sei arrivato qui?

Sono nato a Trastevere, e già dall’età di sedici anni ci siamo trasferiti a Monteverde.  Andavo al Liceo Kennedy. Correvo da quando avevo dieci anni, dalle elementari alle medie alle superiori e poi mi sono appassionato sempre di più alle distanze sempre più lunghe e nel 1998 ho cominciato a correre diverse maratone. La prima, ahime, l’ho fatta a diciotto anni ma senza grande allenamento, non fu una bellissima esperienza perché senza allenamento fatichi. Quindi per diversi anni non ho più voluto sentir parlare di maratone poi però un mio amico mi ha convinto a partecipare preparandola un po’ meglio con lui. Così ho fatto, ed è andata molto bene, sono arrivato con sensazioni positive. Così ne ho voluto fare altre, da lì a poco. Sono arrivato a farne tredici, quindici, sedici, venti l’anno.

Tu sei famoso per questo- io ti ho conosciuto quando correvi a Villa Pamphili – perché ne facevi tante e riuscivi a recuperare.

Ne facevo tante e per fortuna riuscivo a recuperare bene e tutti mi dicevano come fai? E io scherzando e non scherzando dicevo ‘ ho poca memoria e quindi il mio fisico oltre la mia mente si era dimenticato della maratona prima.’ Sono arrivato a fare sedici maratone sotto le due ore e venti nel 2000 -che è un altro record- ed è stato l’anno in cui ho fatto il personale, 2.13.15 a Ferrara. E ho capito che quelllo che facevo non era così sbagliato , perché se tu riesci a migliorarti nonostante tutte le maratone vuol dire che non avevano ragione quelli che mi dicevano di farne di meno per andare più forte, non era logico secondo me.

Ci sono le tesi in controtendenza: il grande atleta ne doveva fare poche…

Sì, due o tre l’anno. Io ne ho fatte ventuno, di cui sedici sotto le due ore e venti. In quell’anno (2000) ho fatto il personale. Rispetto ai kenyani può sembrare lento perché loro vanno fortissimo.

Tu due ore e tredici lo hai fatto nel 2000 e ancora i kenyani non facevano due ore e uno o due ore sei minuti di media. E’ un buon livello mondiale. Sono tempi da olimpiade i tuoi.

Sì, purtroppo per me, con gli anni ci sono stati diversi italiani- Baldini, Goffi- che hanno fatto due ore e sette minuti, due ore e otto minuti. Le olimpiadi non sono mai riuscito a farle perché adesso con due ore e tredici….

Poi ora i tempi si sono abbassati e anche il livello.

Certo il livello internazionale si è abbassato ma il livello italiano si è alzato.

Come è il tuo rapporto con il quartiere? Tu villa Pamphilj la usi come parco giochi, io ti ho sconosciuto che ero ragazzo e cominciavo a fare mezzofondo …

Veramente come hai detto tu Villa Pamphilj per me è un parco giochi e la corsa è un gioco, i bambini giocano correndo… Il rapporto con Monteverde è stato un buonissimo rapporto perché è un quartiere che mi piace tanto, Trastevere e ce l’ho nel cuore, però a Monteverde si vive un po’ meglio .

Sai ho un’immagine: tu che arrivi da Piazza Cucchi.

Sì, veramente, da Trastevere puoi arrivare a Villa Pamphili e sono quei due o tre km. di strada. Comunque Monteverde è un quartiere a cui sono molto legato, sia perché ci sono praticamente cresciuto e sia perché mi piace, anche il semplice nome già di per se è bello.

Cosa ti ha spinto, ad un certo punto a smettere? Io mi ricordo, ti chiamavano il tassista volante, ti ricordo sempre col sorriso, quasi a dire che uno può lavorare, studiare, correre senza viverlo come un sacrificio. Per questo c’è da dirti grazie, io ad esempio ero più rabbioso quando correvo...

Nel 1995 ho cominciato a fare il tassista, poi nel 2001 mia sorella cercava lavoro e quindi le ho detto: perché non apriamo un negozio. Ne abbiamo visti diversi e non eravamo neanche tanto intenzionati ad aprirlo di running ma poi è capitato, lo abbiamo aperto insieme in Prati. Ho continuato a guidare il taxi proprio per sostenere anche il negozio. Nel frattempo sono cresciuto come atleta e avrei potuto lasciare il lavoro di tassista perché un atleta che vince delle maratone guadagna qualche soldo.

È vero, meglio spiegare, nelle gare su strada e nelle altre gare si vincono alcuni premi, non così munifici come nel calcio.

In quegli anni vincere una maratona significa vincere 1000 euro, quindi se ne facevi tante come ne facevo io ti potevi mantenere. Il problema , come dicevi tu, è che non è necessario correre e basta. Io corro sei o sette ore al giorno e poi vado in over training . Ovvero se tu fai troppo non riesci ad ottenere risultati. Quindi devi fare altro per distrarti. E io che correvo due volte al giorno, trenta km. di allenamento, per ‘distrarmi ” ho scelto di continuare a lavorare.

Ecco spiegami il tuo modo di correre, ad esempio ci sono quelli che fanno la corsa lunga a 3,50 a km. tu non hai mai corso fortissimo, hai sempre mantenuto un ritmo che possiamo definire relax che in realtà è aver capito il tuo equilibrio. Una cosa rara per un corridore, perché in genere i mezzofondisti abusano dell’allenamento.

Diciamo che anche lì ho sempre pensato che il troppo storpia e andare tutti i giorni forte, spingere tutti i giorni vuol dire non ottenere il risultato migliore. La soluzione era quella di correre magari una volta o due volte a settimana più forte, per esempio nel mio caso – gareggiavo tutte le domeniche- l’appuntamento con la velocità era la domenica. Poi magari facevo un richiamo in settimana e gli altri giorni correvo sempre più tranquillamente a ritmo “facile”. Era un ritmo che per me andava bene.

Io ho corso con te, e sono stato di un livello normale, quattro minuti sui 1500, ma non eccezionale. Però scherzavamo non abbiamo mai esagerato, anche sui 4.30.

Ma sai, uno potrebbe anche dire che è veloce se fa una maratona 42 km a 3,09 o 4,30. Però la corsa, quella giornaliera, sono convinto che va fatta così. Va fatta in modo rilassato. Poi, il giorno che devi fare il lavoro, fai il lavoro. Questa è una mia visione di allenamento, non fare qualità e quantità insieme. I giorni che fai qualità- che possono essere due o tre volte a settimana massimo, a seconda della specialità -e poi gli altri giorni una corsa rigenerante , dove magari prediligevo la quantità.

Per quantità cosa intendi?

Per quantità intendo quantità di km. Per preparare tutte quelle maratone dovevo fare trenta km. al giorno..

A settimana quindi quanti km facevi?

Facevo 210 km, a settimana, come gli atleti professionisti, solo che io ero sì un professionista però allo stesso tempo avevo mantenuto il mio lavoro da tassista. E il negozio di sport teneva sempre in contatto questi due mondi allora ho scelto di aprire un negozio anche a Monteverde.  Continuavo a correre in via di Donna Olimpia e c’era un negozio sempre chiuso da anni, e quindi ho voluto anche dare il mio contributo a movimentare un po’ la zona.

Possiamo dire che tu sei una sorta di monumento qui. Hai anche aperto una società sportiva che porta il tuo nome, che non è un fatto narcisistico ma un modo per aggregare: sei il riferimento di un gruppo di persone che ispirandosi a te fanno sport.

Grazie, a me faceva piacere dare una mano. La società si chiama Calcaterra Sport, e come hai detto , non è per narcisismo. Prima di tutto per è per rispetto di mio padre -che mi ha portato a correre – che ho chiamato la società con il nome di famiglia. Poi ho cercato di collegare i miei valori con il mio cognome. Tra l’altro ho un cognome che si adatta alla corsa, Calcaterra – calchi la terra – noi che corriamo questo facciamo.

Villa Pamphilj è proprio tua , soprattutto la parte del laghetto. Io ad esempio so tutti i km grazie a te, me li hai insegnati tu. Tutti i passaggi.

C’è da dire che prima non c’era il GPS e bisognava misurare in altri modi, io li misurai con la bicicletta, ma la bicicletta è poco precisa. L’ho tarata più volte facendo dei calcoli e quindi studiando questo giro di sette km. Adesso con il GPS è più facile.

Io ho il giro misurato grazie a te, come tanti altri runner.

Non si andava tanto dall’altra parte della Villa perché il ponte non c’era ancora, avremmo dovuto fermarci, aspettare il semaforo, e quando si corre si cerca di non fermarsi perché è come interrompere l’allenamento. Quindi giravo sul quel percorso, sette km., anche oggi quella è la parte che mi colpisce di più., non ci sono altre parti di Monteverde che mi colpiscono tanto.

Hai qualche gara a cui tieni di più, a parte quella in cui hai corso due volte la maratona di Roma…

Sì, ho fatto due volte la maratona di Roma consecutivamente, sono arrivato e volevo ripartire subito perché volevo stare nel tempo.

Perché ricordiamo che ogni maratona deve finire in otto ore circa. E poi dovevi fare anche l’antidoping anche se non lo fanno spesso ahime.

In quella occasione arrivai nono assoluto e quindi sono stato sorteggiato e hanno deciso di fare a me l’antidoping, come ad altri, ed a volte l’antidoping ti fa perdere tanto tempo. Naturalmente l’analisi è sulle urine e se non ti scappa sono problemi. Ho fatto tutto ma ho dovuto aspettare e dopo un’ora e un quarto sono potuto ripartire. Ci ho messo due ore e trentaquattro per fare la prima maratona , quindi quando arrivavano le persone che facevano tre ore e quarantanove sono partito per la mia seconda maratona, con diversi problemi. Avevo paura di non riuscire a riprendere nelle sette ore e mezza l’ultimo, perché l’obbiettivo era quello di raggiungere l’ultimo. Io per capirci non andavo indietro, non facevo un altro giro, ero ripartito dallo Start.

Ho raggiunto l’ultimo al quarantunesimo km. e ho camminato con lui che era un po’ affaticato, con un problema alla gamba, ed aveva deciso di camminare. Abbiamo fatto l’ultimo km. insieme, ricordo ancora il suo nome: Eligio. Abbiamo tagliato il traguardo insieme. Le gare a cui sono legato sono diverse: la maratona di Roma, il Passatore ..

Ora come ti alleni, io ti ho visto in diverse fasi della tua vita, oggi come ti alleni?

Cerco di essere costante comunque, perché la corsa è al di là della gara, è come abbiamo detto in precedenza è il mio gioco preferito e non bisogna mai smettere di giocare neanche se sei il più grande. Tra l’altro in questo periodo fanno diverse gare, virtuali, ovviamente, spesso per beneficenza e partecipo a quelle. Posso consigliare di non fermarsi per tanto tempo, perché questo complica la ripresa. Dobbiamo continuare a correre perché la corsa deve essere uno stile di vita. Io corro anche se non ci sono gare.

D. Ne hai fatta qualcuna ultimamente?

Il 23 maggio c’erano i cento km. del Passatore a staffetta, in questo periodo a fare cento km. da solo non me la sono sentita perché comunque il lockdown è stato pesante anche a livello mentale.

Ho visto sul tuo profilo facebook che ti allenavi a casa. Tu hai sempre delle strategie.

Quello sì. Ma fare cento km. non me la sono sentita. Hanno fatto per ricordare il Passatore cento km. però io, come altri, non me la sono sentita di farla un un’unica soluzione. Altri l’hanno fatta, ma io l’ho divisa anche perché avevo piacere di condividere la gara con altri amici della mia squadra, divisi per venticinque km. C’era uno in particolare che mi aveva seguito in macchina e in bicicletta nei Passatori scorsi e quindi poter correre un Passatore anche se virtuale con lui era un’occasione da non perdere. Invece di fare cento km. da solo, ci siamo divisi il percorso, con il pettorale che ho stampato, pensando proprio di correre questa gara.

L’atleta che corre non deve sempre pensare al primo che arriva, ognuno ha la sfida con se stesso e con il cronometro.  

Ho fatto venticinque km. a quattro e ventotto è stato quasi massimale perché era praticamente per me una gara.

Vorrei ricordare una cosa del passato, anche per i ragazzi del futuro. Tu una volta hai provato a fare i cento metri. Perché hai pensato di provare una distanza del genere? Perché Giorgio, un maratoneta, si ritrova a fare i cento metri?

Mi è venuto perché l’atletica è bella tutta e volevo provare le diverse specialità. Io avevo corso varie distanze- mi mancano le siepi perché non è semplice essendo poco agile- ma sono stato sempre attratto dai numeri tondi, forse per questo è nata la cento. La maratona è storica con i suoi quarantadue km. e centonovantacinque metri però volevo i numeri tondi . Facevo i mille da bambino perché a quella età si faceva quella distanza, poi crescendo, volevo ancora fare i cento metri che non avevo provato. Il fascino di questo numero con un uno e diversi zeri …allora ho detto faccio i cento metri. E ho concluso con i cento km. Alla fine posso dire di aver fatto da zero a cento. In particolare da cento metri a cento km.

Tu hai fatto tutto anche il miglio su strada e ha battuto La Quaglia e non era uno lento.

Infatti riuscivo a esprimere un po’ di velocità anche se non la preparavo.

Hai anche cambiato allenatori

Ho provato Carbonaro, e poi un mio amico pugliese cuoco e grazie a lui feci a Firenze due e ventidue. Poi mi allenai con Uber Rossi della scuola di Gabriele de Rosa con cui si allenano tutti i kenyoti, molto duri. Si ricercavano picchi di forma mentre io volevo gareggiare tutto l’anno. La chiave della mia corsa è la libertà. Ho deciso di allenarmi in autonomia. Tutti gli allenatori mi hanno aiutato a fare risultati ottimi. Non ci siamo lasciati per disaccordi , però allenandomi con loro dovevo rispettare delle tabelle e volevano che facessi poche gare, perché seguendo un programma non puoi gareggiare tutte le domeniche. Quindi ho scelto di allenarmi da solo soprattutto per per poter gareggiare ogni domenica in tutte le parti dove avevo voglia di andare.   

Tu alleni un gruppo di amatori e di giovani. Come li sproneresti a fare il mezzofondo?

In realtà la società non ha la fascia di età giovane, mi piacerebbe invogliarli e fargli capire i valori della corsa, far capire che la corsa non è fatica , è l’eccesso dell’andatura che è fatica. Si deve correre in maniera piacevole, per stare insieme e va fatto nella giusta maniera. In questo modo quando si è finito di correre si è meno stanchi. Quindi correte, alla fine non tutti sono atleti o sono destinati a diventare professionisti. Si può fare in diversi modi ,quindi non smettete.

Le foto che illustrano il testo sono dal sito ufficiale di Giorgio Calcaterra

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