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Cronaca di un vaccino annunciato. Il racconto di un docente del Federico Caffè

di Vincenzo Valentino

Ieri sera il personale sanitario dell’Ospedale San Camillo-Forlanini mi ha iniettato la prima dose di AstraZeneca, un composto contenente, tra altri, adenovirus di scimpanzé per sconfiggere un virus che, a detta degli scienziati, è stato provocato dai pipistrelli; mi sembra di essere una comparsa di un film di fantascienza. Se nei prossimi mesi non mi verrà l’istinto di arrampicarmi sugli alberi posso dire di aver fatto la scelta giusta.

A noi ci tocca l’Astrazeneca, si lamentava una collega insegnante della scuola dove lavoro, il più scrauso di tutti!  Alcuni virologi in tv hanno detto che ha una carica immunitaria del 60 per cento e provoca effetti collaterali più pesanti degli altri vaccini: febbre spossatezza, diarrea, vomito. Perché i politici e i giornalisti si fanno il Pfizer o il Moderna? A febbraio soffiava un’aria complottistica tra il personale scolastico. Un collega, preoccupato, mi ha inviato un Whatsapp con le componenti chimiche di AstraZeneca. Ma perché lo ha fatto? Non sa che non bisogna mai leggere il bugiardino dei farmaci prima di prenderli?

Per cui, quando si stabilisce un limite a cinquantacinque anni sono quasi contento di non rientrarci per ragioni di età, ma nel giro di pochi giorni le vaccinazioni AstraZeneca vengono estese anche a personale scolastico sopra i cinquantacinque. A quel punto, dovendo decidermi subito mi prenoto per il 9 marzo, egoisticamente lasciando passare qualche giorno per vedere l’effetto AstraZeneca sulle persone che lo fanno prima di me.

Ma anche questo non mi aiuta. Sento colleghi che il giorno dopo stanno benissimo, mentre altri hanno febbre e spossatezza. Quale sarà la mia reazione al vaccino? Per saperlo non mi resta che farlo. Pertanto, con un po’ di apprensione, che non sono stato capace di nascondere più di tanto, neanche ai miei studenti, ieri sera mi sono vaccinato.

Verso le 19 arrivo al padiglione Antonini del San Camillo, un luogo che già conosco per aver donato il sangue. Sono l’ultimo vaccinante della giornata, e ad attendermi trovo un’equipe medica e infermieristica cordiale ed efficiente, strano che non ci sia fila, forse ci sono state delle rinunce all’ultimo momento.

Nella sala la mascherina provoca la condensa sui miei occhiali e mi appanna la vista, così vedo tutto sfumato, meglio così, vedendo meno ciò che mi sta intorno sono meno impressionabile. Dopo aver concluso l’accettazione e le relative firme con le quali il personale medico scarica ogni responsabilità, remote ma pur possibili conseguenze, seduto su una comoda poltrona blu mi appresto a ricevere il siero.

Nel momento in cui l’infermiere infila l’ago nella mia spalla destra sono teso come una corda di violino bene accordato, ma con mia sorpresa non avverto nulla; merito non mio ma della grande professionalità della persona che ha fatto la puntura. Fatto! Tutto finito.

Dopo 15 minuti di attesa in sala d’aspetto dove ho chiacchierato con due colleghe, che erano lì per lo stesso motivo, sono tornato a casa di umore molto diverso da come ero uscito.

E il fatto che io sia qui a darne conto è un ottimo segno. Così da oggi sarò anch’io un testimonial volontario pro-vaccino, tra quelli che incoraggeranno le persone ancora titubanti a farlo.

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