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Con l’emergenza rifiuti ha senso dire ancora no ai termovalorizzatori?

di Maurizio Melandri


Vorrei preliminarmente rimandare ad un mio precedente articolo del settembre 2019 su questo stesso giornale https://www.quimonteverde.it/melandri-due-semplici-indicazioni-per-una-corretta-gestione-dei-rifiuti/ nel quale commentavo, in modo sostanzialmente positivo, il Nuovo Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti (). Sottolineavo, e riporto qui, due “semplici indicazioni” contenute in quel piano e per me completamente esaustive della strategia di gestione dei rifiuti:
–          dare la priorità strategica assoluta alle necessità di trattamento delle frazioni organiche da RD
–          assegnare all’incenerimento un ruolo residuale e progressivamente marginale.
Tornando al articolo di oggi e al titolo in questione. Una domanda ormai all’ordine del giorno, ripetuta come un mantra, che viene fatta e raccolta da molti perché sembra dare un senso liberatorio al problema che ci attanaglia. È una domanda retorica, con una risposta scontata, e prima di provare a rispondere a questa domanda occorre dare un senso alle parole usate; parole che vengono utilizzate in modo non neutro, ma con il preciso intento di indirizzare la risposta verso la conclusione voluta: un’esercitazione retorica che sembra avere molto successo, a mio parere per scarsità di analisi critica:

Termovalorizzatori; cosa sono? Non esistono impianti industriali con tale nome; è un neologismo inventato al posto di “inceneritori”, per dare un’immagine positiva di un impianto che, sostanzialmente, distrugge materiale che potrebbe essere recuperato più vantaggiosamente. Il concetto non è nuovo anzi, ci aveva già pensato George Orwell nel suo libro “1984”, quello del “Grande Fratello” che tutto controlla e decide, individuando la necessità di proporre una “neolingua”, di parole costruite apposta per ottenere il consenso della popolazione.
«”Termovalorizzatore” al posto di “inceneritore”. Coniando il nuovo termine, si è spostato l’accento da quello che certamente rimane (residuo tossico: 1/5 di scorie, senza contare i fumi prodotti dalla combustione) a quello che presuntamente si produce (un valore, energia, vantaggio economico). Chi dice “No al termovalorizzatore!” ha già perso, perché ha accettato l’eufemismo, il frame. Discute sul terreno dell’avversario, e in apparenza si oppone a un valore, a qualcosa di “buono”.»

Emergenza; cos’è l’emergenza? Dalla Treccani: “particolare condizione di cose, momento critico, che richiede un intervento immediato – trovarsi in una situazione di e., di improvvisa difficoltà – adottare provvedimenti di e., eccezionali, ma resi necessarî dalla particolare situazione”.
Ma se sono più di venti anni che si parla di emergenza-rifiuti a Roma – per quanto ne so il primo Commissariamento fu istituito nel 1999 – quale momento critico, quale improvvisa difficoltà, quale particolare situazione? E poi, come si può definire provvedimento di emergenza la costruzione di un inceneritore se dalla decisione della costruzione alla sua entrata in funzione operativa passano almeno 7 – 8 o più anni?
Chiarito quindi che la domanda altro non è che una manipolazione, un’operazione di marketing sostenuta dai mass media e finalizzata a orientare la popolazione a favore degli inceneritori, (anche la bravissima Milena Gabanelli si è adeguata, tempo fa, al mainstream mediatico; salvo fare poi un’impacciata correzione sotto le critiche del mondo ambientalista.

Proviamo a schematizzare la gestione dei rifiuti. I rifiuti non nascono all’improvviso sotto i cavoli, ma sono la fase di fine vita di prodotti che vengono costruiti, venduti, utilizzati, scartati, raccolti, selezionati ed infine inviati al recupero o allo smaltimento.
Una lunga filiera dunque della quale, chissà perché, si “ragiona” solo sulla fase finale! Non si prende mai in considerazione l’idea di intervenire sulla quantità e qualità della produzione dei cosiddetti rifiuti; di riduzione o eliminazione di molti prodotti che nascono già come rifiuti – come ad esempio gli imballaggi o l’usa e getta sui quali si potrebbe e dovrebbe intervenire decisamente –. Anche sulla durata dei prodotti che utilizziamo sarebbe il caso di riflettere un pò: una ricerca condotta negli Stati Uniti ha evidenziato che, dopo sei mesi, solo l’1% dei prodotti era ancora in utilizzo, mentre il 99% era già finito tra i rifiuti.
Poi la raccolta differenziata; Roma proprio non riesce a decollare con il suo 45% circa (solo un paio di punti sopra la soglia raggiunta dal Sindaco Marino). A Milano sono al 66% mentre la media nazionale è al 59%; per non parlare del 88% di Treviso.


Quando si parla di impianti tutti, ma proprio tutti hanno in mente solo gli inceneritori! Ma ci sono altre tipologie di impianti per la selezione, il recupero e il trattamento dei rifiuti che andrebbero costruiti prima di pensare all’inceneritore. Per la frazione umida ad esempio, che costituisce il 40% del totale dei rifiuti, una distribuzione sul territorio di piccoli impianti, una promozione maggiore del compostaggio domiciliare e di comunità ridurrebbe fortemente gli impatti negativi della gestione dei rifiuti anche perché, tornando al senso delle cose evocato nel titolo, che senso ha parlare di inceneritore se non ci si attrezza prima con impianti intermedi di eliminazione o recupero delle parti non combustibili e che, se incenerite come tal quale sono causa di maggiore produzione di diossine e di polveri sottili?

Ma parliamo di Europa; si quell’Europa dietro la quale molti politici si nascondono per giustificare e far accettare le loro scelte “difficili ma volute dall’Europa”, sostenuti dalla grancassa dei corifei mediatici; della posizione dell’Europa rispetto agli inceneritori… neanche una parola.
Eppure il Parlamento e la Commissione europea da molti anni sollecita gli Stati membri ad adoperarsi per fare a meno degli inceneritori, e dopo molte raccomandazioni, perlopiù cadute nel vuoto, adesso ha definitivamente detto basta! Come? Semplicemente tagliando i fondi all’incenerimento. Come ci informava nel febbraio scorso Enzo Favoino, della Scuola Agraria del Parco di Monza e Scientific Coordinator, Zero Waste Europe,
Carissime/i tutte/i, buone, anzi ottime, notizie da Bruxelles.
Ieri sera abbiamo avuto conferma dei testi finali approvati sui criteri di impiego sia del JTF (just transition fund) che dei nuovi Cohesion Funds (fondi regionali). Abbiamo ottenuto quanto volevamo e proponevano.

Tutti i fondi andranno ai livelli superiori della gerarchia (inclusi riduzione, riuso, riciclo e compostaggio!). E gli inceneritori, che in passato assorbivano il 70% delle risorse, si attaccano al proverbiale tram.

Gioco, partita, incontro; gli inceneritoristi hanno perso e abbandonano? Ma neanche per sogno! Scherziamo? L’Europa negherà i fondi, ma “fortunatamente” c’è la pandemia; c’è il “niente sarà più come prima” … ma molto peggio. Infatti, da un articolo de “Il Fatto Quotidiano” del 28 Dicembre 2020 apprendiamo di un inceneritore di rifiuti proposto dalla Regione Liguria, finanziato con 103 milioni di euro con i fondi “green” del Recovery Plan. “103 milioni per un “impianto per utilizzo della frazione ad alto potere calorifico da trattamento di rifiuti urbani, con generazione di energia termica ed elettrica”: in parole povere, un inceneritore. Al momento, la Liguria è una delle poche regioni italiane a non ospitare impianti di questo tipo, spesso criticati dagli ambientalisti.”
E, come ci fa sapere sempre il buon Favoino “Sappiamo che ci sono analoghe proposte (ampliamenti o realizzazioni di nuovi inceneritori) in altre Regioni (es. Umbria, Veneto, Puglia), sempre con i Recovery Funds“. Insomma, cosa importa se l’Europa ha tagliato i fondi? Noi ce li facciamo dare dal “Governo dei Migliori”, che tanto sempre dall’Europa arrivano.

Suggerisco la visione di questo webinar organizzato da Green Italia proprio per inquadrare il tema della agenda UE e dell’uso dei Recovery Funds; tutto interessante ma dal minuto 3 al 18 l’intervento di Enzo Favoino.


In conclusione, l’inceneritore non è la soluzione inevitabile del problema dei rifiuti anzi, un vecchio slogan recitava: “l’incenerimento non è la soluzione del problema dei rifiuti, ma il rifiuto della soluzione del problema”. È una scelta, una decisione politica che può privilegiare gli interessi di singoli imprenditori o lobbies della gestione dei rifiuti, oppure adoperarsi per un benessere collettivo, anche a costo di incidere, modificare stili di vita consolidati, ma che oggi sappiamo tutti che non è più possibile continuare a sostenere. Si tratta insomma di una scelta, una scelta individuale prima ancora che collettiva; sgombriamo il campo dall’ineluttabilità di una risposta preconfezionata e interessata e assumiamoci le nostre responsabilità di analizzare e scegliere.
“Buongiorno” disse il Piccolo Principe.
“Buongiorno” rispose il mercante.
Era questi un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete. Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere.
“Perché vendi di questa roba?” Disse il Piccolo Principe.
“È una grossa economia di tempo” disse il mercante “gli esperti hanno fatto i calcoli. Si risparmiano cinquantatré minuti alla settimana”
“E cosa se ne fa uno di questi cinquantatré minuti?”
“Se ne fa ciò che si vuole…”
“Io” disse il Piccolo Principe “se avessi cinquantatré minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana…” .”
Antoine de Saint-Exupéry, dal libro “Il piccolo principe”

… io sto camminando adagio adagio verso una fontana…

Maurizio Melandri

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